E’ passata la Royal Rumble, è passata Wrestlemania, sta per arrivare Money in the Bank, evento dopo evento, main event dopo main event, Roman Reigns è sempre lì, ma non arriva a quel titolo universale che sarebbe la sua consacrazione. E perché non ci arriva? Per via del solito vecchio annoso problema: il rapporto con i fan, che non ne vogliono sapere di vedere in lui il volto della compagnia.
Le origini del “male”. Quando il ‘Big Dog’ arriva nel main roster, dopo la gavetta e gli esordi a NXT, lo fa insieme a Seth Rollins e Dean Ambrose nella celebre e riuscitissima stable dello Shield. Sia da heel che da face i tre convincono e la gente non ha assolutamente nulla contro Roman, atleta emergente e che interpreta il duro dei tre, con Seth a fare la parte del più atletico e tecnico (oltre che furbo) e Dean quella del pazzo rissoso. L’emblema di un rapporto che male non era con i fan lo si ha nella Royal Rumble del 2014, quando Roman ne elimina ben 12 e sembra strameritare la rissa reale. Una Rumble che nasce già male, con un beniamino come CM Punk partire come numero 1 ed essere eliminato da un già eliminato (Kane, ndr) in quello che sarà l’epilogo dell’esperienza del ‘Best in the World’ nel pro-wrestling, e con un altro amatissimo come Daniel Bryan addirittura fuori dalla rissa contro il volere del “popolo”. Un popolo talmente deluso che arrivò a fischiare due eroi amatissimi anni prima come Rey Mysterio e Batista. Tutti ricorderanno i cori “Roman Reigns, Roman Reigns” quando il buon Roman arrivò fino in fondo e tutti ricorderanno i fischi al vincitore, Batista, che eliminò proprio il ‘Big Dog’. Eppure da lì iniziò l’incredibile declino, invece che la scalata. Reigns è un atleta in crescita, ma ha ancora tanto da imparare e ci vuole del tempo per sfondare. Non per la WWE che lo lancia nel giro che conta in poco tempo. Nel giro di un anno si guadagna il grande palcoscenico, senza particolari meriti, senza grandi promo e senza regalare match memorabili. La gente percepisce questo e fa pesare alla WWE questa scelta. E chi ne paga le conseguenze? Proprio Roman Reigns. Troppe vittoria poco esaltanti e con uno schema fin troppo banale per i tempi odierni: le prende di brutto, poi con un paio di mosse vince qualsiasi match. Fischi per lui alla vittoria della Royal Rumble del 2015. Poi il main event di Wrestlemania 31 contro Brock Lesnar, dove l’incasso del Money in the Bank di Seth Rollins viene visto come una salvezza. Ma è solo l’inizio di un rapporto difficile.
Tra errori e tentativi di farlo amare. Le cose peggiorano qualche mese dopo, quando Roman Reigns arriva davvero a quel tanto atteso titolo WWE. Per provare a farlo amare, la compagnia si gioca la cara vecchia carta del buono ostacolato dall’Authority. Così il primo regno da campione mondiale del ‘Big Dog’ dura appena un quarto d’ora: Sheamus incassa il Money in the Bank al termine del main event delle Survivor Series proprio ai danni di Roman. Reigns torna campione un mese dopo, ma viene costretto a difendere il titolo alla Royal Rumble, dove è il primo a entrare e il penultimo a essere eliminato, perdendo il titolo a vantaggio del capo dell’Authority, il rientrante Triple H. Schema facile: autorità fischiata, Roman nel main event di Wrestlemania, vince e tutti lo amano. Ma non è così. La gente quasi acclama la vittoria del ‘vecchio’ Triple H e fischia sonoramente il main event di Wrestlemania, che comunque Reigns vince. Il terzo regno da campione, quello più lungo dei tre, non è neanche così male e la WWE prova a esaltarlo mettendo contro il ‘Big Dog’ e il fenomeno del momento, quell’AJ Styles che dopo anni a dare spettacolo nelle ‘indies’ è finalmente nella compagnia migliore del mondo. Ne vengono fuori anche ottimi match, come quello di Extreme Rules 2016, che dovrebbero elevare lo status di Reigns, ma ancora niente da fare. Così perde il titolo a Money in the Bank contro Seth Rollins, che la sera stessa lo perderà per mano di Dean Ambrose, e l’idea di far detenere a Roman la cintura più ambita viene messa da parte per un po’. Non quella di trovare un modo per farlo amare. La faida contro un heel nato come Kevin Owens, aiutato da un altro top heel come Chris Jericho; ma la gente non tifa per Roman. Il tutto aggravato dall’ennesimo exploit alla Royal Rumble, dove entra come trentesimo, ma non riscuote successo e dove finisce col perdere come ultimo eliminato, per non far chiudere l’evento tra i fischi. Fischi sonori che potrebbero chiudere anche Wrestlemania 33 dopo una vittoria importantissima contro The Undertaker; ma il post-match ad effetto, col ritiro (che ritiro si rivelerà non essere, ndr) del ‘Deadman’ salva la faccia a una WWE che non sa più che pesci prendere. Si prova la via del feud con un altro face da amare, ma che viene fischiato: John Cena. Ma il buon John al microfono almeno ci sa fare e dei match “della Madonna” nel curriculum li ha, e nessuno può negarlo. A No Mercy vince il ‘Big Dog’, ma lo fa al solito modo: resiste a tante AA e con un paio di Superman Punch e Spear vince lui. Ma alla fine Cena riesce nell’impresa di essere acclamato, cosa che dal 2006-2007 in poi raramente gli è riuscita; eppure è sempre stato un ‘face’. Una piccola illusione è la reunion dello Shield. Almeno stavolta quando entra non becca solo fischi. Ma un po’ per sfortuna a causa di una malattia che lo tiene lontano dal ring per qualche mese e un po’ perché alla lunga lo Shield 2.0 viene visto solo come una trovata commerciale, presto accantonata, si torna presto al punto di partenza. Non basta l’ennesima Royal Rumble da protagonista, che perde per poco; non basta la vittoria dell’Elimination Chamber, che chiunque avrebbe dato a Braun Strowman. Così per evitare che Wrestlemania 34, dove per l’ennesima volta è nel main event, finisca tra i fischi, a sorpresa vince Brock Lesnar. Roman Reigns non è abbastanza over per poter vincere il titolo universale. Ora si prova l’ultimo disperato tentativo: la faida contro l’odiatissimo Jinder Mahal, ma sta accadendo l’incredibile. La gente sta tifando il ‘Modern Day Marajah’, uno degli atleti più contestati dell’ultimo decennio (ma almeno era ‘heel’ e aveva un senso, ndr).
Lo merita davvero oggi? Qual è la soluzione? Rispondiamo alla prima domanda e lo facciamo con un secco “no”. Certo. Quando parliamo di Roman Reigns non siamo di fronte a un’eccellenza della tecnica come AJ Styles, Seth Rollins o Finn Balor. E non siamo neanche di fronte a un top al microfono come The Miz. Eppure in entrambi i campi ha fatto passi da gigante, che non vengono notati solo per stupide prese di posizione. Nei promo è notevolmente migliorato e sembra aver imparato molto dal feud con John Cena. Sul ring ha fatto progressi e negli ultimi due anni qualcosa di buono l’abbiamo visto (contro Kevin Owens a Royal Rumble ’17, ad esempio). Mettiamoci poi in testa che la WWE non ergerà mai a volto della federazione un pur bravo atleta che proviene da circuiti indies: non l’ha fatto con CM Punk e Daniel Bryan (l’unico vero ‘face’ amato degli ultimi anni, ndr); non lo farà con AJ Styles, Seth Rollins e Finn Balor. Piaccia o no, l’unico prodotto WWE credibile come simbolo è proprio Roman Reigns. Ma la soluzione per ergerlo a questo livello è solo una: il turn heel. Farlo passare dalla parte dei cattivi. Le basi ci sono: anche se dovrebbe essere face, forse a causa proprio della reazione negativa dei fan, Roman non si mostra mai particolarmente attaccato al pubblico e quindi un turn non sarebbe affatto non ipotizzabile. L’unico limite è quello che ha “bloccato” nel suo personaggio John Cena: vende molto tra i bambini e tra i fan più distaccati. Il WWE Universe non si compone solo di coloro che riempiono le arene o che commentano sui social network, ma anche di chi ha un approccio più “scanzonato” a questo business e lì la WWE va forte con Reigns come suo simbolo. Vallo a spiegare a un bambino di 8 anni che ama il ‘Big Dog’, che ora va a fare il disonesto e si prende lui gioco dei fan! Eppure pur di rilanciare un personaggio i precedenti ci sono. C’è quello di The Rock, che prima di diventare leggenda è dovuto passare per un turn heel necessario per rilanciare un personaggio che doveva essere amato ma che non piaceva a nessuno. Prima ancora c’è stato quello riuscitissimo e clamoroso di Hulk Hogan, anche se era in WCW, con la nascita della NWO di cui l’Hulkster era leader. Insomma, se la WWE non pensa solo ai soldi e pensa un po’ anche a qualcosa che possa essere utile al personaggio di Roman Reigns, magari anche al fine di farlo arrivare al titolo universale tra l’acclamazione dei fan, allora questa è la soluzione. L’unica possibile.